UNORTHODOX E LA VIA PER LA LIBERTÀ

unorthodox

In breve

A New York, nel quartiere di Williamsburg, vive una delle più grandi comunità ebree chassidiche, protagonista della miniserie Unorthodox

Esperienza suggerita: lasciati coinvolgere dalla storia di Esty e della sua fuga dai rigidi dettami della comunità guardando la serie tv Unorthodox. 

Tempo di lettura: 3 minuti.

Nel quartiere di Williamsburg, nel borough di Brooklyn a New York, vive una delle più grandi comunità ebree chassidiche che osserva rigidamente i dettami della religione.

Tra le vie del quartiere passeggiano uomini avvolti nei loro lunghi soprabiti con il capo coperto dallo Shtreimel, il tradizionale cappello di pelo, da cui cadono lateralmente i lunghi boccoli. Poco distanti si radunano le donne, madri di innumerevoli figli, con le loro gonne sotto al ginocchio e i capelli nascosti da scure parrucche. Nell’aria riecheggia una strana lingua, l’yiddish, dove il tedesco si mescola al dialetto slavo e al lessico ebraico, contaminato da termini anglosassoni.

In questo contesto vive Esty, la protagonista di Unorthodox, acclamata miniserie disponibile su Netflix che racconta la fuga della giovane donna dai dettami della comunità. Una fuga che ricalca l’autobiografia di Deborah Feldam “Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche”.

Una storia che parla di libertà e degli ostacoli che si possono frapporre al suo raggiungimento. Del concetto di normalità e della sua arbitrarietà. Dell’importanza di inseguire la propria natura con il coraggio di lasciare alle spalle ogni forzatura.

La comunità Chassidica

brooklyn
© Photo by Miltiadis on Unsplash

Le origini del Chassidismo risalgo al Settecento quando nell’Europa dell’est si diffonde il pensiero del maestro Baʻal Shem Tov che crea un nuovo movimento all’interno dell’ebraismo ultraortodosso basato sulla convinzione che Dio è presente in ogni manifestazione del creato e che per avvicinarsi a lui è necessario servirlo con amore.

Un approccio alla vita che ha avuto numerose opposizioni da parte del rabbinato russo e lituano ma che è riuscito ugualmente a ottenere enorme seguito in Europa, Israele, Stati Uniti, Canada e Australia.

Ma è durante la seconda guerra mondiale che la comunità chassidica viene decimata e gli ultimi superstiti – in particolare i provenienti dal gruppo Satmar, originario della Romania e dell’Ungheria – decidono di trasferirsi a Brooklyn dove danno vita a gruppi sociali e religiosi molto rigidi, senza contatti con l’esterno. Ciò che è fuori dalla comunità viene infatti percepito come nemico, mentre l’appartenenza al gruppo come l’unico scudo contro il male del passato e il ricordo dell’Olocausto. Un male da risarcire mettendo al mondo nuove generazioni di ebrei.

Alle donne, infatti, spetta il compito di crescere in grembo nuove vite e prendersene cura dedicando la loro esistenza alla famiglia. Donne strette in matrimoni combinati che vivono il loro ruolo di madri e mogli con riverenza, piegate alle volontà della comunità maschile.

Ed è al sesso femminile che guarda Unorthodox, a cui spetta il compito di salvaguardare la propria identità, la propria essenza, anche se questo significa fuggire.

Alla ricerca della felicità

ebreo-brooklyn
© Photo by Carmine Savarese on Unsplash

Unorthodox è la storia di una fuga. Una fuga dai dettami di una comunità troppo invadente nella sfera personale, da una vita infelice, dalla versione meno autentica di se stessi.

Esther Schwartz, interpretata dal volto israeliano di Shira Haas, è una giovane donna nata e cresciuta nella comunità Satmar di Williamsburg. L’inizio della sua vita adulta resa simbolicamente dal matrimonio forzato con Yanky Shapiro coincide con la presa di coscenza delle limitazioni che il gruppo sociale a cui appartiene le impone.

La prospettiva è quella di una vita da comparsa, più che da protagonista, dove a decidere per sé sono le rispettive famiglie, ingabbiate nei rigidi dettami della religione secondo cui l’unico compito femminile è badare al marito e ai figli. Figli da concepire anche contro la propria volontà, per non tradire le aspettative della comunità.

Ma Esty non ci sta e decide di fuggire a Berlino, città dove ha la possibilità di scoprire il potere dei propri sogni. Un sogno che ha il nome di musica, la forma artistica tramite cui la protagonista esprime la propria vera essenza. Un sogno che la vede padrona della propria vita, dove è lei a scegliere chi frequentare e chi no.

Unorthodox comunica un messaggio universale: essere felici è l’unica cosa che conta. E se la propria felicità non coincide con quello che richiede la società, non importa. Essere felici significa trovare un equilibrio tra chi sei e l’aspettativa di quello che vorresti essere. Una donna libera, nel caso di Esty.

Provato da me