In breve
Un affare di famiglia racconta – con la gentilezza tipica del cinema di Hirokazu Kore-Eda – come i legami affettivi possano andare oltre quelli di sangue, sullo sfondo della società giapponese.
Esperienza suggerita: emozionati guardando il film “Un affare di famiglia”.
Tempo di lettura: 4 minuti.
Un affare di famiglia è uno dei film rivelazione dell’ultimo Festival di Cannes, dove ha vinto la Palma d’Oro.
Diretto da Hirokazu Kore-Eda, regista nipponico noto per portare in scena con delicatezza la sfera più intima e autentica dei legami tra persone, la pellicola racconta uno spaccato di vita di una famiglia contemporanea giapponese.
Al centro un interrogativo: i legami affettivi possono essere più forti di quelli di sangue?
Quasi in punta di piedi – attraverso uno sviluppo scandito dai ritmi della vita quotidiana – il regista riesce in qualche modo a scardinare le convinzioni anche dello spettatore più imperturbabile.
Una famiglia che, in realtà, una famiglia non è
La scena iniziale del film presenta, attraverso una sequenza di immagini, un padre che insegna al figlio come commettere piccoli furti, con sguardi complici e segnali muti.
Ad aspettarli a casa, una moglie, una giovane cognata, un’anziana donna, un bambino… una famiglia, insomma.
In una baracca che si distingue dalle costruzioni moderne circostanti, i protagonisti conducono una vita umile, condividendo un rifugio minuscolo dove trovare spazio per l’intimità è complicato.
Ognuno – con difficoltà – cerca di soddisfare i propri bisogni primari, arrabattandosi come può, a volte anche in maniera illecita.
I più anziani insegnano quello che riescono ai più giovani, che non necessariamente coincide con ciò che è giusto.
E invece, con il proseguire del film, si capisce gradualmente che in realtà non si tratta di una famiglia.
È qui che il regista pone di fronte a un interrogativo: che cosa si può chiamare davvero famiglia?
Questa viene svuotata dal suo significato tradizionale e viene proposta come una comunità, svincolata dai legami di parentela, ma tenuta insieme da sentimenti di assistenza e protezione reciproca per procedere fianco a fianco nella vita.
Il tema diventa ancora più controverso quando viene accolta la piccola Yuri, trovata per strada rannicchiata in un angolo e maltrattata dai genitori. Un po’ per caso, un po’ per scelta, decidono di farla diventare un nuovo membro della famiglia, al limite del rapimento.
In questa situazione, è facile giudicare il comportamento dei protagonisti rischioso e non conforme alla legge.
Ma qual è il limite tra morale e sentimento? Tra legalità e giustizia?

Oltre le nostre convinzioni
Le storie dei protagonisti si intrecciano nel corso del film e vengono svelate solo nella seconda parte, quando verranno scoperti il rapimento e la realtà della relazione tra i vari membri della famiglia.
Lo spettatore si trova perciò di fronte a una situazione lontana dalla morale comune e difficile da comprendere e accettare.
Ma – quasi inaspettatamente – ci si sente di non biasimare del tutto i comportamenti dei protagonisti, la cui onestà affettiva va oltre il giusto e lo sbagliato.
La questione diventa ancora più urgente: dove risiede la famiglia? Nel legame di sangue o nella protezione e nell’affetto costanti?
E allora sembra che anche le convinzioni più radicate diventino più sfumate, che sia difficile emettere un giudizio preciso, o bianco o nero, convincendoci che – a volte – alcuni legami vanno oltre al legame di parentela.
È la verità del sentimento a dare le risposte: è la bambina che asciuga le lacrime della madre, è il grazie della nonna prima di morire, è lo sguardo di complicità tra padre e figlio.
Un affare di famiglia, pur mettendo in scena una situazione inopportuna sotto molti aspetti, riesce a ribaltare il punto di vista del pubblico, fino a trasmettere il sentimento opposto: l’affetto e l’approvazione – nonostante tutto – che si prova per una famiglia emotivamente sincera.
