In breve
Con il termine “generazione rubata” ci si riferisce a quei bambini aborigeni che sono stati allontanati in maniera arbitraria dalle proprie famiglie per venire rieducati secondo la cultura dei bianchi. Un capitolo di storia sconosciuto ai più, ma raccontato nella pellicola di Phillip Noyce.
Esperienza suggerita: conosci la storia dei bambini aborigeni vedendo il film “La generazione rubata”.
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Il FILM “La generazione rubata” narra una porzione di storia che molti ignorano, ma che ha condizionato a lungo le generazioni di aborigeni.
È la vicenda di tre bambine “mezzosangue” strappate alle famiglie di origine per venire rieducate dai bianchi.
È l’avventura della loro grande fuga per ritornare a casa.
È il racconto del confronto tra popolazione aborigena e aussie, gli emigrati di origine anglosassone.
Un film di denuncia tratto da vicende realmente accadute.
La generazione rubata
La generazione rubata – o stolen generation – si riferisce a quei bambini australiani aborigeni e isolani dello stretto di Torres allontanati dalle loro famiglie in modo forzato da parte dei governi federali australiani e da missioni religiose con l’obiettivo di rieducarli secondo la cultura dei bianchi.
Si tratta del goffo tentativo di tutelare una popolazione in declino avviando a una vita civile i bambini mezzosangue – figli di madre aborigena e padre bianco – e confinando in riserve gli aborigeni purosangue.
Si pensava infatti che il modo di vivere primitivo degli indigeni fosse dannoso per i bambini e che fosse quindi necessario tutelarli per evitarne il declino, portandoli in orfanotrofio o affidandoli a famiglie bianche.
Ma in realtà questa pratica celava la paura di una mescolanza etnica e la volontà di raggiungere una purezza razziale, considerando la cultura bianca superiore.
Tale operazione si diffonde nella seconda metà dell’Ottocento per protrarsi per quasi un secolo, in alcuni luoghi fino agli anni Settanta.
Solo a metà anni Novanta è stata avviata un’inchiesta che ha definito la pratica come “genocidio” e “crimine contro l’umanità” e solamente qualche anno fa il governo australiano ha chiesto scusa agli indigeni per il triste capitolo, considerato uno dei più clamorosi e meno citati casi di razzismo della storia moderna a danno di una popolazione.
Una storia da conoscere
La vicenda raccontata ne “La generazione rubata” è ambientata negli anni Trenta e narra la fuga di tre bambine mezzosangue allontanate dalle loro famiglie e portate in un centro di rieducazione che – senza darsi per vinte e rischiando severe punizioni – scelgono di non arrendersi e di sfruttare la loro conoscenza del territorio per ritornare dalle loro madri.
La storia è tratta dal libro “Barriera per conigli“/”Follow the Rabbit-Proof Fence” di Doris Pilkington, titolo che si riferisce al recinto lungo migliaia di chilometri realizzato per fermare i conigli che devastavano le coltivazioni e percorso dalle protagoniste per orientarsi nel ritorno a casa.
Con la pellicola, il regista Phillip Noyce ha tentato non solo di risarcire chi ha subito queste ingiustizie, ma anche di dare visibilità agli aborigeni e di rendere noto un pezzo della loro storia che non tutti conoscono.
Il messaggio che vuole diffondere “La generazione rubata” è sì di speranza per quelle bambine che sono riuscite a fuggire dall’indottrinamento dei bianchi, ma è specialmente di accusa rispetto ai danni subiti dagli indigeni.
La conseguenza più grave è il fatto che ancora oggi molti australiani di origine mista ignorano le loro origini e, soprattutto, che è stata interrotta la trasmissione della cultura aborigena da una generazione all’altra. Inoltre è dimostrato che la disintegrazione delle famiglie, l’abuso di alcool e droga, la brutalità e la sofferenza che affliggono ancora oggi gli aborigeni sono anche il risultato di questi duri anni.
L’Australia è sicuramente un paese che merita di essere visitato, ma è necessario che tutti conoscano la storia anche delle popolazioni che vivevano in origine i territori, che la rispettino e che la preservino.
Una storia di barriere, una storia di difficoltà, come quella raccontata QUI.
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