In breve
Il film “Cafaranao – caos e miracoli” mette in scena il Libano degli emarginati e dei bambini dall’infanzia negata. Una pellicola struggente, sul ruolo degli adulti e della società in relazione ai minori.
Esperienza suggerita: scopri la dura realtà in cui sono costretti a vivere i bambini di alcune parti del mondo guardando il film “Cafarnao – caos e miracoli”.
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“Perché sei qui?”.
“Per far causa ai miei genitori, per avermi messo al mondo. […] Voglio che i grandi ascoltino quello che ho da dire, sono stufo di quelli che non sanno occuparsi dei loro figli”.
Con queste parole Zain, dodicenne dei quartieri degradati di Beirut protagonista del film “Cafarnao – caos e miracoli”, zittisce la giuria del processo che lo vede coinvolto per aver accoltellato lo sposo di sua sorella: un marito adulto di una moglie bambina. Un’udienza che si trasforma in un amplificatore dei diritti negati dei minori, rivolto a tutti gli adulti.
Parole che come lame affondano nel petto dei grandi, muovendo le coscienze e rendendo impossibile rimanere indifferenti, messi di fronte a una verità che si preferirebbe non sentire.
“Cafarnao” – acclamato a Cannes e candidato agli oscar come miglior film straniero, premio vinto da ROMA – nasce da una domanda: “se i bambini potessero parlare, esternare i loro sentimenti, essere ascoltati dagli adulti che cosa direbbero?”. Un quesito sulla base di cui la regista libanese Nadine Labaki ha dato alla luce il suo terzo lungometraggio.
Caos
Cafarnao, letteralmente, significa “mucchio confuso, disordinato”. Termine che prende il nome dalla città galilea in cui Gesù iniziò le sue predicazioni: un luogo movimentato, di grande caos appunto. Come caotica è la realtà in cui vivono i protagonisti della vicenda, attori improvvisati che interpretano loro stessi e la quotidianità a cui sono abitati.
Personaggi senza volto del Libano delle baraccopoli e dei rifugiati siriani, dell’estrema povertà e delle prospettive mancanti, dove sono i bambini a pagare il prezzo delle scelte degli adulti. E il prezzo è salato. Minori apolidi e senza documenti, costretti a cavarsela da soli in una realtà infernale e ad affrontare ogni giorno la violenza che la vita gli ha riservato.
E la giustizia individuale è l’unico modo che questi bambini conoscono per far sentire la loro voce e far valere i loro sentimenti. Come Zain, solo, in un mondo in cui l’equità non esiste. Il giovane protagonista vuole combattere contro chi condanna lui e gli altri bambini a vivere in questa situazione: contro i suoi genitori, che continuano mettere al mondo figli senza poterli mantenere; contro la società, che non si accorge della situazione tragica in cui versano migliaia di persone.
Zain dà voce agli invisibili, agli emarginati e, inconsapevolmente, porta alla luce tematiche di grande rilevanza, come i diritti negati dell’infanzia, l’inclusione sociale, il controllo delle nascite, le spose bambine e la schiavitù moderna. E ancora di più le conseguenze della mancanza di cultura e della povertà più assoluta.
Un film realista
La regista Nadine Labaki – che nel film impersona l’avvocato del bambino – ha cercato tra le strade i suoi protagonisti: lo stesso Zain che nella pellicola interpreta il ragazzino libanese è un profugo siriano e attualmente vive in Norvegia. Un realismo restituito da ogni scena e dato dal contributo di attori che realmente hanno vissuto le situazioni raccontate.
La regista dà così la possibilità di narrare le proprie storie ai bambini che vivono per le strade, ai minori costretti a lavorare, alle spose bambine.
Un racconto realistico e veritiero, che con un approccio documentaristico colpisce dritto al cuore e non permette di voltarsi dall’altra parte, per fare finta che non esista la sofferenza di questi bambini costretti a vivere in un mondo violento, ingiusto e difficile.
Arrivare alla fine del film non è semplice, per la crudezza del ritratto del mondo che propone senza abbellimenti, dove a pagare le conseguenze dell’indifferenza della gente sono i bambini, gli innocenti.
Una pellicola struggente, quanto potente, da guardare per capire a fondo le situazioni di vita anche a poche migliaia di chilometri dell’Italia.